I PATTI TERRITORIALI - "ESEMPIO DI SVILUPPO ECONOMICO POSSIBILE TRA PUBBLICO E PRIVATO" 

I patti territoriali quale strumento di programmazione e conformazione negoziata del territorio. Brevi notazioni sulla loro natura giuridica e sulla loro operatività.

La ragione del lavoro

La ragione del presente lavoro non è semplice, ma duplice, l’una di ragione sistematica, l’altra contingente.

La prima si compendia nella necessità di inquadrare la fattispecie del patto territoriale nella più ampia trama degli strumenti di conformazione e programmazione negoziata del territorio per trarre da ciò le conclusione possibili non solo dal punto di vista logico-giuridico, ma anche operativo.

La seconda si esaurisce nella constatazione che la conformazione e la programmazione negoziata del territorio sono considerate importanti al punto tale da aver indotto il legislatore a menzionarle per ben due volte nella Legge 24/11/2000 n. 340 in materia di ulteriore semplificazione dell’attività della pubblica amministrazione, e precisamente nei suoi artt. 7 e 17.

Con l’art. 7 della Legge 24/11/2000 n. 340, il legislatore ha tradotto in una disposizione giuridica la necessità, peraltro già avvertita dagli operatori del settore, di dare veste organica e sistematica a tre delle principali figure in cui la programmazione negoziata del territorio si articola, ossia i patti territoriali, i contratti d’area ed i contratti di programma, così come definiti dall’art. 2, comma 203, lett. d), e) ed f) della Legge 23/12/1996 n. 662.

Nelle intenzioni del legislatore, la necessità di dare veste sistematica agli istituti de quibus deve refluire nella compilazione di un testo unico delle norme in vigore rilevanti in subiecta materia, reso possibile previa modificazione dell’allegato 3 della Legge 3/8/1999 n. 50, e successiva introduzione nel suo corpo del relativo punto 9 bis.

La Legge di semplificazione è poi completata dalla previsione in termini espliciti dell’apporto del C.I.P.E. in veste di organo titolare della potestà normativa subprimaria in via attuativa, la cui funzione, peraltro, deve essere orientata a garantire anche in tale sede l’ulteriore semplificazione del complesso della normativa.

Il C.I.P.E., infatti, è organo interministeriale a competenza generale in materia di programmazione negoziata del territorio, come è emerso quando con il D.Lgs. 5/12/1997 n. 430 in materia di sistemazione organica ed unificazione dei Ministeri del Tesoro e del Bilancio e della Programmazione economica, sono state poste le basi per il riordino delle competenze del C.I.P.E.

In tale sede, infatti, è stato espressamente previsto che esso "debba svolgere funzioni di coordinamento ed indirizzo generale in materia di intese istituzionali di programma e di altri strumenti di programmazione negoziata, al fine del raggiungimento degli obiettivi generali di sviluppo fissati dal governo e del pieno utilizzo delle risorse destinate allo sviluppo regionale, territoriale e settoriale; approvare, ai sensi dell’art. 2, commi 205, 206 della Legge 23/12/1996 n. 662, le singole intese istituzionali di programma e la disciplina per l’approvazione ed il finanziamento dei contratti di programma, dei patti territoriali e dei contratti di area, nonché definire ulteriori tipologie della contrattazione programmata disciplinandone le modalità di proposta, di approvazione, di attuazione, di verifica e controllo".

Con l’art. 17 della Legge 24/11/2000 n. 340, riferito alla programmazione negoziata, poi, il legislatore ha ulteriormente completato i riferimenti già contenuti nella normativa sulla semplificazione amministrativa relativa agli interventi sulle aree depresse previsti dal combinato disposto degli artt. 4 e 20 della Legge 15/3/1997 n. 59 e dall’art. 7, comma 1, lett. a) della Legge 8/3/1999 n. 50, prevedendo espressamente che nella redazione dell’apposito testo unico il governo dovrà tenere conto di tutto il complesso normativa di fonte primaria e subprimaria comunque formatosi in subiecta materia.  

Il patto territoriale nell’ambito dell’azione amministrativa per accordi.

Il patto territoriale è un mezzo mediante il quale giungere alla conformazione programmata del territorio ed alla conseguenziale realizzazione di interventi su di esso attraverso lo strumento della negoziazione del loro contenuto fra una pluralità di soggetti istituzionalmente rilevanti, siano essi pubblici o privati, singoli piuttosto che esponenziali di altri soggetti. Il patto territoriale rientra, quindi, a pieno titolo fra gli strumenti di negoziazione che, un tempo estranei all’ordinamento giuridico, sono oggi previsti da una pluralità di norme, la cui funzione e giustificazione dogmatica è quella di sostituire progressivamente l’azione amministrativa per atti e provvedimenti amministrativi con un’amministrazione che agisce per accordi, ed in genere avvalendosi dello strumento negoziale.

Prima di approfondire la tematica degli strumenti di conformazione negoziata del territorio, deve essere evidenziato che l’idea che le pubbliche amministrazioni possano agire utilizzando strumenti negoziali in genere è stata generalizzata a seguito della promulgazione della Legge 7/8/1990 n. 241. L’art. 15 della Legge in esame, infatti, prevede espressamente che anche al di fuori delle ipotesi in cui si proceda mediante conferenza di servizi, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere fra di loro accordi per disciplinare lo svolgimento di attività di interesse comune, trovando applicazione per quanto compatibili, le disposizioni previste dal precedente art. 11, commi 2, 3 e 5.

In sintesi, dalla panoramica sull’evoluzione della normativa in materia di attività negoziata della pubblica amministrazione emerge un diffuso favor del legislatore nei confronti della possibilità di intervenire nei procedimenti in modo non più o non solo più autoritativo, essendo evidente che l’apporto dei soggetti coinvolti nel processo di formazione degli atti della pubblica amministrazione garantisce meglio il conseguimento del pubblico interesse che è poi il fine ultimo cui i pubblici poteri debbono tendere.

Ciò è vero al punto tale che l’art. 11 della Legge 7/8/1990 n. 241 ha espressamente previsto che in accoglimento delle osservazioni dei privati cui il procedimento è diretto, la pubblica amministrazione possa concludere accordi mediante i quali definire il contenuto discrezionale dal provvedimento finale, salvaguardando i diritti dei terzi e garantendo comunque il soddisfacimento del pubblico interesse.

I precedenti normativi del patto territoriale e la realizzazione delle grandi opere infrastrutturali.

Prima di trattare l’istituto del patto territoriale così come esso è oggi strutturato e delineato ordinamentalmente, è bene evidenziare che una tale forma di negoziazione del contenuto dell’attività conformativa del territorio ha precisi nessi di derivazione dalla normativa per lo sviluppo del Mezzogiorno, e precisamente nell’art. 7 della Legge 1/3/1986 n. 64, che, peraltro, legittimava all’intervento negoziato i soli soggetti pubblici, e consentiva di localizzare sul territorio opere infrastrutturali di interesse statale, indipendentemente dalla loro conformità agli strumenti urbanistici, dal momento che le procedure previste per il loro perfezionamento consentivano la composizione degli interessi urbanisticamente rilevanti mediante la deroga agli strumenti generali di programmazione territoriale.

Il D.L. 1/2/1988 n. 19, convertito nella Legge 28/3/1988 n. 99, ha poi esteso la possibilità di ricorrere all’istituto della negoziazione, da attuare mediante accordo di programma, stabilendo, fra l’altro, che la sua approvazione determinasse ipso iure la variante dei piani urbanistici interessati dagli interventi da attuare, nonché il carattere di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere da realizzare ai fini dell’acquisizione coattiva delle aree interessate. Rispetto alla precedente, la normativa de qua consentiva la partecipazione alla fase della negoziazione anche a soggetti non pubblici, con ciò consentendo loro di intervenire non solo nel momento della scelta finale, ma anche e soprattutto in quello della reale prospettazione dei bisogni rilevanti nel momento propedeutico alla stessa fase istruttoria, e quindi prima ancora che il complesso procedimento amministrativo cui la conformazione negoziata del territorio dà corpo fosse stato formalmente attivato.

L’art. 27 della Legge 8/6/1990 n. 142 ha poi generalizzato la figura dell’accordo di programma, ricalcandone i tratti costitutivi ed essenziali dalla Legge 1/3/1986 n. 64, normativa sostanzialmente ora riprodotta dall’art. 34 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, consentendo la realizzazione di opere pubbliche, di interventi o di programmi di intervento che richiedano per la loro realizzazione l’azione integrata e comunque coordinata di più enti pubblici territoriali o sforniti di tale caratteristica connotante, purché sempre enti pubblici tout court.

Con il D.L. 23/6/1995 n. 244, convertito nella Legge 8/8/1995 n. 341, il legislatore ha introdotto accanto agli strumenti di programmazione contrattata del territorio fino ad allora conosciuti l’istituto del patto territoriale propriamente inteso, peraltro limitandolo agli interventi in aree depresse, e predisponendo uno strumento procedimentalmente più agile, per consentire, sia pure in ambiti territoriali ben definiti, di giungere all’enucleazione di progetti complessivi di interventi che interessano un determinato assetto socio-economico e produttivo.

Nell’evoluzione degli istituti de quibus, si può quindi dire che il modo con cui attuare la programmazione negoziata del territorio fosse sostanzialmente bipartibile in due grossi filoni. Il primo esauriva gli accordi fra pubbliche amministrazioni ed aveva ad oggetto l’intesa di programma per giungere alla realizzazione di una serie di interventi in un quadro d’azione pluriennale. Il secondo consentiva di dare corpo ad accordi fra amministrazioni pubbliche e altri soggetti pubblici o privati (grandi imprese, consorzi di piccole o medie imprese, privati) per la realizzazione di obiettivi comunque connessi al territorio ed alle sue peculiarità (accordo di programma, contratto di programma, patto territoriale). 

L’attuale disciplina degli strumenti di conformazione negoziata del territorio

La disciplina organica degli strumenti di conformazione negoziata del territorio è attualmente contenuta nella Legge 23/12/1996 n. 662, la quale ha recepito nel proprio articolato la fattispecie del patto territoriale, già introdotto nell’ordinamento dal D.L. 23/6/1995 n. 244, convertito nella Legge 8/8/1995 n. 431, facendo peraltro venir meno il nesso di necessaria inerenza del patto territoriale alle aree depresse, estendendone quindi l’utilizzabilità a tutto il territorio nazionale indipendentemente dalla connotazione e dalla qualificazione della porzione di territorio interessata.

Gli strumenti di contrattazione programmata del territorio sono ora elencati nell’art. 2, comma 1 della Legge 23/12/1996 n. 662, che ha abrogato buona parte della pregressa normativa, lasciando in vita praticamente solo la definizione di "area depressa". Essi vengono definiti, in modo generale, come quegli strumenti che hanno ad oggetto "interventi che coinvolgono una molteplicità di soggetti pubblici e privati ed implicano decisioni istituzionali e risorse finanziarie a carico delle amministrazioni statali, regionali e delle province autonome nonché degli enti locali".

In concreto, gli strumenti di conformazione negoziata del territorio sono la programmazione negoziata (lett. a), l’intesa istituzionale di programma (lett. b), l’accordo di programma quadro (lett. c), il patto territoriale (lett. d), il contratto di programma (lett. e), il contratto di area (lett. f).

Guardando alla definizione legislativa dei vari istituti delineati dal legislatore, non può non essere rilevato che essi hanno tutti un elemento costitutivo in comune: l’accordo di una pluralità di centri di riferimento di interessi rilevanti in un determinato ambito territoriale, di cui, a vario titolo, sono portatori soggetti pubblici o privati comunque avvinti ad un dato territorio da precisi nessi di inerenza.

Nello specifico, taluni degli strumenti negoziali in esame attengono più genericamente alla fase propedeutica dell’intesa operativa vera e propria, come ad esempio l’intesa istituzionale di programma, che ha ad oggetto l’impegno alla collaborazione fra stato e regione (o province autonome) funzionalizzato alla realizzazione di un piano pluriennale di interventi d’interesse comune o funzionalmente collegato. Per contro, altri hanno contenuti immediatamente operativi, nella più gran parte dei casi connessi ad obiettivi di promozione dello sviluppo locale del territorio e del suo assetto produttivo.

La valutazione degli strumenti di conformazione negoziata del territorio fino ad ora evidenziati si presta a due ordini di considerazioni interlocutorie.

In primo luogo, gli strumenti di conformazione negoziata del territorio sono, nell’intendimento del legislatore, il mezzo mediante il quale assicurare la funzionalizzazione della conformazione del territorio a specifiche finalità, il che costituisce, poi, il punto critico e, nel contempo, paradigmatico delle relative fattispecie, endiadi che deve essere sempre tenuta presente in concreto per vagliare la loro ammissibilità, e, in definitiva, la loro finanziabilità ed attuabilità.

In secondo luogo, attraverso tali strumenti, il legislatore ha mostrato di voler trascendere il modello della realizzazione di infrastrutture ed opere pubbliche sul territorio sovente fini sé stesse, per accreditare un modulo operativo nel quale la spesa pubblica diviene ammissibile se ed in quanto, ricorrendone i presupposti, sussiste un nesso di funzionalizzazione fra di essa e le ragioni del territorio interessato, debitamente enucleati ed analizzati e compiutamente rappresentati dai soggetti che con quel determinato territorio hanno nessi di inerenza.

Ciò è vero al punto tale che quando i soggetti privati intervengono nella formazione dello strumento di conformazione negoziata del territorio essi agiscono non già nell’ambito di un procedimento amministrativo, ma addirittura nella precedente fase della rappresentazione degli interessi pubblici o privati che in esso trovano collocazione. In questo modo la formalizzazione degli strumenti di conformazione negoziata consente di delineare strumenti mediante i quali, attraverso il coinvolgimento di più centri portatori di interessi pubblici o privati comunque afferenti al territorio è possibile dare compiuta sistemazione all’assetto territoriale. 

La struttura ed il contenuto del patto territoriale

Il patto territoriale è istituto che ha trovato la propria collocazione sistematica nel testo dell’art. 2, comma 203 lett. d) della Legge 23/12/1996 n. 662, preceduto nella sua definizione dall’art. 1, comma 1, lett. e bis) del decreto Legge 23/6/1995 n. 244, convertito con modificazioni dalla Legge 8/8/1995 n. 431.

Il patto territoriale così come da ultimo enucleato è uno strumento di intervento negoziato che consiste nell’ "accordo, promosso da enti locali, parti sociali, o altri soggetti pubblici o privati con i contenuti di cui alla [precedente] lett. c) (c.f.r. i contenuti dell’accordo quadro di programma), relativo all’attuazione di un programma di interventi caratterizzato da specifici obiettivi di promozione dello sviluppo locale".

Dalla definizione legislativa dell’istituto si possono trarre subito alcune conclusioni relative al suo contenuto.

In primo luogo, il patto territoriale è strumento complesso che poggia su un accordo, e quindi sull’esito di una procedura negoziata, ad estensione endoregionale, fra una pluralità di soggetti, a connotazione indifferenziata. Nella formazione del patto territoriale, come si è avuto modo di evidenziare, possono infatti intervenire enti locali, parti sociali, o altri soggetti pubblici o privati, e quindi sia soggetti singoli, sia soggetti esponenziali di altri soggetti. Dell’accordo, e delle sue modalità si occupa esaustivamente il punto 2.8. della deliberazione C.I.P.E. del 21/3/1997, che rinvia sul punto a quanto previsto dall’art. 2, comma 203, lett. c) della legge 23/12/1996 n. 662, ossia per la fattispecie dell’accordo di programma quadro.

In particolare, secondo quanto prevede sul punto la deliberazione C.I.P.E. del 21/3/1997, l’accordo deve prevedere quali sono gli adempimenti che incombono su ciascun soggetto interessato, compresi quelli afferenti alla realizzazione degli interventi infrastrutturali ed allo sviluppo degli investimenti a supporto delle opere. L’immediata vincolatività dell’accordo riveste particolare importanza posto che l’approvazione del patto territoriale avviene nel presupposto che esso sia immediatamente finanziabile, cadenzato nei suoi adempimenti e comunque oggetto di programmazione delle relative fasi nelle quali si articola.

L’accordo, poi, deve prevedere quali sono gli atti da adottare, anche in deroga alla normativa vigente, per consentire la massima semplificazione ed accelerazione delle procedure e dei procedimenti, onde garantire all’attuazione del patto territoriale la massima speditezza. L’efficacia derogatoria, peraltro, non è generalizzata, ma limitata alle sole aree di crisi individuate della Presidenza del consiglio dei Ministri, che sono poi quelle oggetto dei cosiddetti "contratti di area" (c.f.r. art. 2, comma 203, lett. f) della Legge 23/12/1996 n. 662), rilevanti in subiecta materia per effetto della rete di rinvii fissi esperita dalla lett. d) della disposizione che disciplina l’istituto dei patti territoriali. Sempre per le aree di crisi, e per le medesime ragioni appena enucleate, è poi previsto che l’accordo a base del patto territoriale indichi i casi di deroga agli strumenti urbanistici vigenti nelle aree interessate dalla sua attuazione.

L’accordo deve inoltre contenere esatta menzione dei termini entro cui devono essere espletati gli adempimenti precedentemente indicati, nonché le generalità dei soggetti legittimati ad esprimere con carattere di definitività la propria volontà in relazione a tutti gli adempimenti ed a tutte le determinazioni da adottare per garantirne l’attuazione.

In secondo luogo, il patto territoriale è uno strumento a contenuto variabile, il quale deve essere concretizzato nei suoi elementi con riferimento ad ogni singolo momento procedimentale nel quale si articola. E la variabilità del suo contenuto è una diretta funzione sia dell’assetto territoriale presupposto all’attivazione del patto territoriale, sia del numero dei soggetti che in esso sono coinvolti, sia, infine, al prodotto della modificazione dell’assetto territoriale auspicata, e quindi dell’impatto sul territorio delle opere e degli interventi conformativi proposti ed attuati.

In terzo luogo, il contenuto del patto territoriale deve essere immediatamente comprensibile alla luce degli elementi indicati dal legislatore per l’accordo di programma quadro. Esso deve poi soddisfare le finalità indicate nel punto 3.1. della deliberazione C.I.P.E. 21/3/1997, ossia essere "caratterizzato da obiettivi di promozione dello sviluppo locale in ambito subregionale compatibili con uno sviluppo ecosostenibile".

La dimostrazione del nesso di strumentalità fra il patto territoriale e l’attuazione del complesso "di interventi caratterizzato da specifici obiettivi di promozione dello sviluppo locale" costituisce l’elemento alla stregua del quale valutare in concreto l’ammissibilità del patto territoriale. Solo in questo modo, infatti, si giustificano gli effetti di semplificazione che l’approvazione del patto territoriale ha, soprattutto quando riguardi aree di crisi.

La semplificazione amministrativa propria del patto territoriale, com’è facilmente intuibile, non può in alcun caso compromettere né l’ambiente, né gli obblighi comunitari che gravano sullo Stato. Per queste ragioni, è sempre fatta salva la necessità che il contenuto del patto territoriale sia sottoposto a valutazione di impatto ambientate (V.I.A.): non deve essere infatti dimenticato che la fattibilità del patto territoriale è subordinata, ai sensi del punto 2.1 della deliberazione C.I.P.E. 21/3/1997, alla compatibilità della promozione e dello sviluppo locale rispetto ad un assetto ecosostenibile.

La semplificazione, poi, non può andare a detrimento del rispetto delle norme in materia di evidenza pubblica per l’esecuzione dello opere pubbliche, il che significa che nelle procedure di formazione delle società miste a prevalente capitale pubblico che lo interessano e nell’esecuzione delle opere pubbliche che ne costituiscono l’attuazione deve essere sempre assicurata l’osservanza delle norme di cui, rispettivamente, al D.Lgs. 17/3/1995 n. 157 (o 158 a seconda dei casi), nonché al D.Lgs. 19/12/1991 n. 406, alla Legge 11/2/1994 n. 109 e s.m.i, ed al d.p.r. 23/12/1999 n. 554.

A proposito del contenuto del patto territoriale e della sua struttura, deve essere, sia pure succintamente, analizzata la relazione fra di esso e la figura dell’accordo di programma così come normato dall’art. 17, comma 10 della Legge 25/5/1997 n. 127, che ha introdotto nell’allora vigente art. 27 della Legge 8/6/1990 n. 142 l’art. 5 bis, ora riprodotto nell’art. 34, comma 6 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

La norma è di diretta rilevanza per il caso di specie, in quanto con il patto territoriale l’ente locale può attuare la realizzazione di opere pubbliche previste nei propri programmi, potendo contare sull’immediata disponibilità dei fondi per realizzarle, fattispecie che ben potrebbe essere attualizzata proprio mediante il ricorso all’accordo di programma di cui all’ art. 34 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

Il problema della mutua interferenza fra le due fattispecie, a ben vedere, sussiste solo quando alla realizzazione dell’opera siano estranei soggetti non pubblici, rendendo evidente che quando non sussiste una tale premessa, l’unica procedura utilmente praticabile e quella del ricorso al patto territoriale.

La sovrapponibilità degli strumenti de quibus, per contro, è sempre possibile quando i soggetti coinvolti siano enti pubblici territoriali o comunque enti pubblici tout court.

Dall’analisi della normativa e dalla ricostruzione dogmatica delle due fattispecie si può concludere che la formalizzazione compiuta di un patto territoriale non necessita della previa conclusione di un accordo di programma, in quanto se cosi fosse, il disposto dell’art. 34, comma 6 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 2000 sarebbe del tutto ultroneo. Piuttosto si può dire che il patto territoriale, per la sua natura, sostituisce ed assorbe l’accordo di programma. Ciò consente di concludere che il patto territoriale può essere lo strumento mediante il quale approvare i progetti di opera pubblica quando essi coinvolgano più enti pubblici che abbiano partecipato alla sua negoziazione.

Differente è il caso in cui per la realizzazione dell’opera pubblica o degli interventi pubblici non è necessaria l’azione integrata di più soggetti, in quanto essi afferiscono alla competenza di un unico ente pubblico. In questo caso, per gli eventuali provvedimenti autorizzativi, concessori e simili può essere utilmente proposta una conferenza dei servizi ai sensi dell’artt. 14, 14 bis, 14 ter e 14 quater della Legge 7/8/1990 n. 241, nel testo modificato ed implementato, rispettivamente, dagli artt. 9, 10, 1 e 12 della Legge 24/11/2000 n. 340.

Ovviamente differente è la forza dei due strumenti, soprattutto per quanto attiene alla capacità di determinare variazione agli strumenti urbanistici vigenti, situazione che è propria dell’accordo di programma, ma estranea al patto territoriale quando non afferente ad aree in crisi, come si ricava dalla lettura del combinato disposto delle lettere d), c) ed f) dell’art. 2, comma 203 della legge 23/12/1996 n. 662. 

La procedura di formazione del patto territoriale

Quanto alla procedura di formazione, deve essere tenuto presente che il patto territoriale ha origine esclusivamente locale, essendo stato eliminato il riferimento all’attuazione di previe intese od accordi di programma, che le finalità del patto territoriale sono sempre locali e che il patto territoriale può essere promosso ed attivato anche su istanza di privati.

La disciplina della formazione del patto territoriale è oggetto di normazione secondaria da parte del C.I.P.E, cui l’art. 2, commi 205, 206, 207 e 208 della Legge 23/12/1996 n. 662 ha attribuito specifica competenza in materia, e precisamente nelle deliberazioni 10/5/1995, 12/7/1996 e 21/3/1997.

La procedura di formazione del patto territoriale prende corpo con l’iniziativa del soggetto promotore, il quale, secondo quanto indicato nel punto 2.3. della deliberazione C.I.P.E. del 21/3/1997 può essere l’ente locale, un insieme di altri soggetti pubblici operanti a livello locale, una rappresentanza di locale delle categorie degli imprenditori locali o dei lavoratori interessati, ovvero qualunque altro soggetto privato.

Il soggetto promotore, qualunque ne sia la connotazione, diviene soggetto istituzionalmente qualificato, al punto che dell’iniziativa di patto territoriale è data comunicazione alla Regione.

Del patto territoriale deve essere individuato un soggetto responsabile (punto 2.5 direttiva C.I.P.E. del 21/3/1997), il quale deve essere necessariamente un soggetto pubblico, ovvero un organismo di diritto pubblico individuato o in una società mista a prevalente capitale pubblico da costituire nei modi e nei termini indicati dall’art. 113, comma 1, lett. e) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267), ovvero ancora in una tale società già operante cui partecipare.

Il soggetto responsabile dell’attuazione del patto territoriale deve possedere le caratteristiche indicate dal punto 3 della deliberazione C.I.P.E. del 10/5/1995, e, nello specifico, deve assolvere a tutte le incombenze previste dal punto 2.5. della deliberazione del C.I.P.E. del 21/3/1997, le quali, comprese fra il "rappresentare in modo unitario gli interessi dei soggetti sottoscrittori" ed il curare apposite relazioni a cadenza semestrale, si snodano attraverso la convocazione delle eventuali conferenze dei servizi, il monitoraggio, il rispetto delle pattuizioni e quant’altro sia "utile alla realizzazione del Patto".

Alla fase dell’iniziativa segue quella della concertazione con le parti sociali, formalizzata con un protocollo d’intesa la cui funzione è quella di verificare la coerenza e la compatibilità della proposta di patto territoriale con le finalità di sviluppo locale perseguite dai soggetti promotori (punto 2.10.1 della direttiva C.I.P.E.), ed alla quale può essere decisivo l’intervento del C.N.E.L.. Il patto territoriale è ammissibile in quanto contiene la disponibilità di progetti di investimento per iniziative imprenditoriali nella misura indicata nel punto 2.10.1. lett. b) delle direttiva C.I.P.E. del 21/3/1997.

Istruiti gli atti e verificatane la coerenza interna, il Ministero del Bilancio e della Programmazione economica, una volta acquisito il parere della Regione interessata in quanto ente a competenza necessaria in materia di programmazione territoriale, qualora non sia ricompressa fra i sottoscrittori del patto territoriale, e verificata la consistenza delle risorse economiche destinate dal C.I.P.E., approva il patto territoriale con apposito decreto da emanare entro 45 giorni.

Il patto territoriale è poi sottoscritto e stipulato entro 60 giorni dalla data di emanazione del decreto ministeriale (punto 2.10.2 della direttiva C.I.P.E. del 21/3/1997). La sottoscrizione del patto territoriale, in quanto atto avente natura negoziale, e quindi lato sensu contrattuale, esplica effetti immediatamente vincolanti per i soggetti firmatari all’adozione degli atti di rispettiva competenza relativi agli interventi assunti. Il rispetto degli obblighi assunti non è, peraltro, oggetto di specifica normazione di natura imperativa. Esso, piuttosto, viene garantito di fatto attraverso la previsione di sistemi sanzionatori e di clausole penali dedotte nell’accordo, fermo restando che per i soggetti pubblici sono sempre ipotizzabili specifiche responsabilità in via amministrativa che trascendono i meri aspetti civilistici del danno rilevante.

Quanto all’attuazione, occorre distinguere fra patto territoriale finanziati con fondi interni e patto territoriale finanziati con i fondi comunitari come è accaduto per i patti territoriale finanziati nell’obiettivo comunitario denominato "obiettivo 1" con fondi europei per lo sviluppo regionale (fondo F.E.R.S.). Per i primi valgono le regole previste dalla Legge 23/12/1997 n. 662 e relative deliberazioni C.I.P.E.; per i secondi tali regole non sembrano immediatamente operative, anche se tale conclusione è fortemente opinata.

Specifici patti territoriale sono poi ammissibili per consentire l’attuazione di obiettivi comunitari di settore, come è accaduto di recente per l’attuazione dell’ "obiettivo 1", reso possibile col l’apporto del Fondo europeo per lo sviluppo regionale, culminato proprio con l’approvazione del "Programma operativo multiregionale – sviluppo territoriale – Patti territoriali per l’occupazione".

I singoli patti territoriali possono prevedere finanziamenti concorrenti, ossia provenienti da soggetti sia privati, sia pubblici. Una tale eventualità è espressamente prevista dal punto 2.9. della deliberazione C.I.P.E. del 21/3/1997, la quale prevede espressamente che "al finanziamento del medesimo patto, nei limiti per ciascun intervento, previsti dalla normativa del settore, possono inoltre concorrere, in aggiunta a risorse di privati, anche ulteriori risorse comunitarie, statali, regionali e locali, per le quali sia accertata la disponibilità da parte delle amministrazioni competenti" (*).

                                                                                                     Gaetano Catalano

 

(*) (Si Ringrazia Il Dr. Riccardo Nobile per l'aiuto e la grande disponibilità data per la redazione dell'Articolo)

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