La
ragione del
lavoro
La ragione
del presente
lavoro non è
semplice, ma
duplice,
l’una di
ragione
sistematica,
l’altra
contingente.
La prima si
compendia
nella
necessità di
inquadrare
la
fattispecie
del patto
territoriale
nella più
ampia trama
degli
strumenti di
conformazione
e
programmazione
negoziata
del
territorio
per trarre
da ciò le
conclusione
possibili
non solo dal
punto di
vista
logico-giuridico,
ma anche
operativo.
La seconda
si esaurisce
nella
constatazione
che la
conformazione
e la
programmazione
negoziata
del
territorio
sono
considerate
importanti
al punto
tale da aver
indotto il
legislatore
a
menzionarle
per ben due
volte nella
Legge
24/11/2000
n. 340
in materia
di ulteriore
semplificazione
dell’attività
della
pubblica
amministrazione,
e
precisamente
nei suoi
artt. 7 e
17.
Con l’art. 7
della Legge
24/11/2000
n. 340, il
legislatore
ha tradotto
in una
disposizione
giuridica la
necessità,
peraltro già
avvertita
dagli
operatori
del settore,
di dare
veste
organica e
sistematica
a tre delle
principali
figure in
cui la
programmazione
negoziata
del
territorio
si articola,
ossia i
patti
territoriali,
i contratti
d’area ed i
contratti di
programma,
così come
definiti
dall’art. 2,
comma 203,
lett. d), e)
ed f) della
Legge
23/12/1996
n. 662.
Nelle
intenzioni
del
legislatore,
la necessità
di dare
veste
sistematica
agli
istituti
de quibus
deve
refluire
nella
compilazione
di un testo
unico delle
norme in
vigore
rilevanti
in subiecta
materia,
reso
possibile
previa
modificazione
dell’allegato
3 della
Legge
3/8/1999 n.
50, e
successiva
introduzione
nel suo
corpo del
relativo
punto 9
bis.
La Legge di
semplificazione
è poi
completata
dalla
previsione
in termini
espliciti
dell’apporto
del C.I.P.E.
in veste di
organo
titolare
della
potestà
normativa
subprimaria
in via
attuativa,
la cui
funzione,
peraltro,
deve essere
orientata a
garantire
anche in
tale sede
l’ulteriore
semplificazione
del
complesso
della
normativa.
Il C.I.P.E.,
infatti, è
organo
interministeriale
a competenza
generale in
materia di
programmazione
negoziata
del
territorio,
come è
emerso
quando con
il D.Lgs.
5/12/1997 n.
430 in
materia di
sistemazione
organica ed
unificazione
dei
Ministeri
del Tesoro e
del Bilancio
e della
Programmazione
economica,
sono state
poste le
basi per il
riordino
delle
competenze
del C.I.P.E.
In tale
sede,
infatti, è
stato
espressamente
previsto che
esso "debba
svolgere
funzioni di
coordinamento
ed indirizzo
generale in
materia di
intese
istituzionali
di programma
e di altri
strumenti di
programmazione
negoziata,
al fine del
raggiungimento
degli
obiettivi
generali di
sviluppo
fissati dal
governo e
del pieno
utilizzo
delle
risorse
destinate
allo
sviluppo
regionale,
territoriale
e
settoriale;
approvare,
ai sensi
dell’art. 2,
commi 205,
206 della
Legge
23/12/1996
n. 662, le
singole
intese
istituzionali
di programma
e la
disciplina
per
l’approvazione
ed il
finanziamento
dei
contratti di
programma,
dei patti
territoriali
e dei
contratti di
area, nonché
definire
ulteriori
tipologie
della
contrattazione
programmata
disciplinandone
le modalità
di proposta,
di
approvazione,
di
attuazione,
di verifica
e
controllo".
Con l’art.
17 della
Legge
24/11/2000
n. 340,
riferito
alla
programmazione
negoziata,
poi, il
legislatore
ha
ulteriormente
completato i
riferimenti
già
contenuti
nella
normativa
sulla
semplificazione
amministrativa
relativa
agli
interventi
sulle aree
depresse
previsti dal
combinato
disposto
degli artt.
4 e 20 della
Legge
15/3/1997 n.
59 e
dall’art. 7,
comma 1,
lett. a)
della Legge
8/3/1999 n.
50,
prevedendo
espressamente
che nella
redazione
dell’apposito
testo unico
il governo
dovrà tenere
conto di
tutto il
complesso
normativa di
fonte
primaria e
subprimaria
comunque
formatosi
in subiecta
materia.
Il patto
territoriale
nell’ambito
dell’azione
amministrativa
per accordi.
Il patto
territoriale
è un mezzo
mediante il
quale
giungere
alla
conformazione
programmata
del
territorio
ed alla
conseguenziale
realizzazione
di
interventi
su di esso
attraverso
lo strumento
della
negoziazione
del loro
contenuto
fra una
pluralità di
soggetti
istituzionalmente
rilevanti,
siano essi
pubblici o
privati,
singoli
piuttosto
che
esponenziali
di altri
soggetti. Il
patto
territoriale
rientra,
quindi, a
pieno titolo
fra gli
strumenti di
negoziazione
che, un
tempo
estranei
all’ordinamento
giuridico,
sono oggi
previsti da
una
pluralità di
norme, la
cui funzione
e
giustificazione
dogmatica è
quella di
sostituire
progressivamente
l’azione
amministrativa
per atti e
provvedimenti
amministrativi
con
un’amministrazione
che agisce
per accordi,
ed in genere
avvalendosi
dello
strumento
negoziale.
Prima di
approfondire
la tematica
degli
strumenti di
conformazione
negoziata
del
territorio,
deve essere
evidenziato
che l’idea
che le
pubbliche
amministrazioni
possano
agire
utilizzando
strumenti
negoziali in
genere è
stata
generalizzata
a seguito
della
promulgazione
della Legge
7/8/1990 n.
241. L’art.
15 della
Legge in
esame,
infatti,
prevede
espressamente
che anche al
di fuori
delle
ipotesi in
cui si
proceda
mediante
conferenza
di servizi,
le
amministrazioni
pubbliche
possono
sempre
concludere
fra di loro
accordi per
disciplinare
lo
svolgimento
di attività
di interesse
comune,
trovando
applicazione
per quanto
compatibili,
le
disposizioni
previste dal
precedente
art. 11,
commi 2, 3 e
5.
In sintesi,
dalla
panoramica
sull’evoluzione
della
normativa in
materia di
attività
negoziata
della
pubblica
amministrazione
emerge un
diffuso
favor
del
legislatore
nei
confronti
della
possibilità
di
intervenire
nei
procedimenti
in modo non
più o non
solo più
autoritativo,
essendo
evidente che
l’apporto
dei soggetti
coinvolti
nel processo
di
formazione
degli atti
della
pubblica
amministrazione
garantisce
meglio il
conseguimento
del pubblico
interesse
che è poi il
fine ultimo
cui i
pubblici
poteri
debbono
tendere.
Ciò è vero
al punto
tale che
l’art. 11
della Legge
7/8/1990 n.
241 ha
espressamente
previsto che
in
accoglimento
delle
osservazioni
dei privati
cui il
procedimento
è diretto,
la pubblica
amministrazione
possa
concludere
accordi
mediante i
quali
definire il
contenuto
discrezionale
dal
provvedimento
finale,
salvaguardando
i diritti
dei terzi e
garantendo
comunque il
soddisfacimento
del pubblico
interesse.
I
precedenti
normativi
del patto
territoriale
e la
realizzazione
delle grandi
opere
infrastrutturali.
Prima di
trattare
l’istituto
del patto
territoriale
così come
esso è oggi
strutturato
e delineato
ordinamentalmente,
è bene
evidenziare
che una tale
forma di
negoziazione
del
contenuto
dell’attività
conformativa
del
territorio
ha precisi
nessi di
derivazione
dalla
normativa
per lo
sviluppo del
Mezzogiorno,
e
precisamente
nell’art. 7
della Legge
1/3/1986 n.
64, che,
peraltro,
legittimava
all’intervento
negoziato i
soli
soggetti
pubblici, e
consentiva
di
localizzare
sul
territorio
opere
infrastrutturali
di interesse
statale,
indipendentemente
dalla loro
conformità
agli
strumenti
urbanistici,
dal momento
che le
procedure
previste per
il loro
perfezionamento
consentivano
la
composizione
degli
interessi
urbanisticamente
rilevanti
mediante la
deroga agli
strumenti
generali di
programmazione
territoriale.
Il D.L.
1/2/1988 n.
19,
convertito
nella Legge
28/3/1988 n.
99, ha poi
esteso la
possibilità
di ricorrere
all’istituto
della
negoziazione,
da attuare
mediante
accordo di
programma,
stabilendo,
fra l’altro,
che la sua
approvazione
determinasse
ipso iure
la variante
dei piani
urbanistici
interessati
dagli
interventi
da attuare,
nonché il
carattere di
pubblica
utilità,
indifferibilità
ed urgenza
delle opere
da
realizzare
ai fini
dell’acquisizione
coattiva
delle aree
interessate.
Rispetto
alla
precedente,
la normativa
de qua
consentiva
la
partecipazione
alla fase
della
negoziazione
anche a
soggetti non
pubblici,
con ciò
consentendo
loro di
intervenire
non solo nel
momento
della scelta
finale, ma
anche e
soprattutto
in quello
della reale
prospettazione
dei bisogni
rilevanti
nel momento
propedeutico
alla stessa
fase
istruttoria,
e quindi
prima ancora
che il
complesso
procedimento
amministrativo
cui la
conformazione
negoziata
del
territorio
dà corpo
fosse stato
formalmente
attivato.
L’art. 27
della Legge
8/6/1990 n.
142 ha poi
generalizzato
la figura
dell’accordo
di
programma,
ricalcandone
i tratti
costitutivi
ed
essenziali
dalla Legge
1/3/1986 n.
64,
normativa
sostanzialmente
ora
riprodotta
dall’art. 34
del D.Lgs.
18/8/2000 n.
267,
consentendo
la
realizzazione
di opere
pubbliche,
di
interventi o
di programmi
di
intervento
che
richiedano
per la loro
realizzazione
l’azione
integrata e
comunque
coordinata
di più enti
pubblici
territoriali
o sforniti
di tale
caratteristica
connotante,
purché
sempre enti
pubblici
tout court.
Con il D.L.
23/6/1995 n.
244,
convertito
nella Legge
8/8/1995 n.
341, il
legislatore
ha
introdotto
accanto agli
strumenti di
programmazione
contrattata
del
territorio
fino ad
allora
conosciuti
l’istituto
del patto
territoriale
propriamente
inteso,
peraltro
limitandolo
agli
interventi
in aree
depresse, e
predisponendo
uno
strumento
procedimentalmente
più agile,
per
consentire,
sia pure in
ambiti
territoriali
ben
definiti, di
giungere
all’enucleazione
di progetti
complessivi
di
interventi
che
interessano
un
determinato
assetto
socio-economico
e
produttivo.
Nell’evoluzione
degli
istituti
de quibus,
si può
quindi dire
che il modo
con cui
attuare la
programmazione
negoziata
del
territorio
fosse
sostanzialmente
bipartibile
in due
grossi
filoni. Il
primo
esauriva gli
accordi fra
pubbliche
amministrazioni
ed aveva ad
oggetto
l’intesa di
programma
per giungere
alla
realizzazione
di una serie
di
interventi
in un quadro
d’azione
pluriennale.
Il secondo
consentiva
di dare
corpo ad
accordi fra
amministrazioni
pubbliche e
altri
soggetti
pubblici o
privati
(grandi
imprese,
consorzi di
piccole o
medie
imprese,
privati) per
la
realizzazione
di obiettivi
comunque
connessi al
territorio
ed alle sue
peculiarità
(accordo di
programma,
contratto di
programma,
patto
territoriale).
L’attuale
disciplina
degli
strumenti di
conformazione
negoziata
del
territorio
La
disciplina
organica
degli
strumenti di
conformazione
negoziata
del
territorio è
attualmente
contenuta
nella Legge
23/12/1996
n. 662, la
quale ha
recepito nel
proprio
articolato
la
fattispecie
del patto
territoriale,
già
introdotto
nell’ordinamento
dal D.L.
23/6/1995 n.
244,
convertito
nella Legge
8/8/1995 n.
431, facendo
peraltro
venir meno
il nesso di
necessaria
inerenza del
patto
territoriale
alle aree
depresse,
estendendone
quindi
l’utilizzabilità
a tutto il
territorio
nazionale
indipendentemente
dalla
connotazione
e dalla
qualificazione
della
porzione di
territorio
interessata.
Gli
strumenti di
contrattazione
programmata
del
territorio
sono ora
elencati
nell’art. 2,
comma 1
della Legge
23/12/1996
n. 662, che
ha abrogato
buona parte
della
pregressa
normativa,
lasciando in
vita
praticamente
solo la
definizione
di "area
depressa".
Essi vengono
definiti, in
modo
generale,
come quegli
strumenti
che hanno ad
oggetto
"interventi
che
coinvolgono
una
molteplicità
di soggetti
pubblici e
privati ed
implicano
decisioni
istituzionali
e risorse
finanziarie
a carico
delle
amministrazioni
statali,
regionali e
delle
province
autonome
nonché degli
enti
locali".
In concreto,
gli
strumenti di
conformazione
negoziata
del
territorio
sono la
programmazione
negoziata
(lett. a),
l’intesa
istituzionale
di programma
(lett. b),
l’accordo di
programma
quadro
(lett. c),
il patto
territoriale
(lett. d),
il contratto
di programma
(lett. e),
il contratto
di area
(lett. f).
Guardando
alla
definizione
legislativa
dei vari
istituti
delineati
dal
legislatore,
non può non
essere
rilevato che
essi hanno
tutti un
elemento
costitutivo
in comune:
l’accordo di
una
pluralità di
centri di
riferimento
di interessi
rilevanti in
un
determinato
ambito
territoriale,
di cui, a
vario
titolo, sono
portatori
soggetti
pubblici o
privati
comunque
avvinti ad
un dato
territorio
da precisi
nessi di
inerenza.
Nello
specifico,
taluni degli
strumenti
negoziali in
esame
attengono
più
genericamente
alla fase
propedeutica
dell’intesa
operativa
vera e
propria,
come ad
esempio
l’intesa
istituzionale
di
programma,
che ha ad
oggetto
l’impegno
alla
collaborazione
fra stato e
regione (o
province
autonome)
funzionalizzato
alla
realizzazione
di un piano
pluriennale
di
interventi
d’interesse
comune o
funzionalmente
collegato.
Per contro,
altri hanno
contenuti
immediatamente
operativi,
nella più
gran parte
dei casi
connessi ad
obiettivi di
promozione
dello
sviluppo
locale del
territorio e
del suo
assetto
produttivo.
La
valutazione
degli
strumenti di
conformazione
negoziata
del
territorio
fino ad ora
evidenziati
si presta a
due ordini
di
considerazioni
interlocutorie.
In primo
luogo, gli
strumenti di
conformazione
negoziata
del
territorio
sono,
nell’intendimento
del
legislatore,
il mezzo
mediante il
quale
assicurare
la
funzionalizzazione
della
conformazione
del
territorio a
specifiche
finalità, il
che
costituisce,
poi, il
punto
critico e,
nel
contempo,
paradigmatico
delle
relative
fattispecie,
endiadi che
deve essere
sempre
tenuta
presente in
concreto per
vagliare la
loro
ammissibilità,
e, in
definitiva,
la loro
finanziabilità
ed
attuabilità.
In secondo
luogo,
attraverso
tali
strumenti,
il
legislatore
ha mostrato
di voler
trascendere
il modello
della
realizzazione
di
infrastrutture
ed opere
pubbliche
sul
territorio
sovente fini
sé stesse,
per
accreditare
un modulo
operativo
nel quale la
spesa
pubblica
diviene
ammissibile
se ed in
quanto,
ricorrendone
i
presupposti,
sussiste un
nesso di
funzionalizzazione
fra di essa
e le ragioni
del
territorio
interessato,
debitamente
enucleati ed
analizzati e
compiutamente
rappresentati
dai soggetti
che con quel
determinato
territorio
hanno nessi
di inerenza.
Ciò è vero
al punto
tale che
quando i
soggetti
privati
intervengono
nella
formazione
dello
strumento di
conformazione
negoziata
del
territorio
essi
agiscono non
già
nell’ambito
di un
procedimento
amministrativo,
ma
addirittura
nella
precedente
fase della
rappresentazione
degli
interessi
pubblici o
privati che
in esso
trovano
collocazione.
In questo
modo la
formalizzazione
degli
strumenti di
conformazione
negoziata
consente di
delineare
strumenti
mediante i
quali,
attraverso
il
coinvolgimento
di più
centri
portatori di
interessi
pubblici o
privati
comunque
afferenti al
territorio è
possibile
dare
compiuta
sistemazione
all’assetto
territoriale.
La
struttura ed
il contenuto
del patto
territoriale
Il patto
territoriale
è istituto
che ha
trovato la
propria
collocazione
sistematica
nel testo
dell’art. 2,
comma 203
lett. d)
della Legge
23/12/1996
n. 662,
preceduto
nella sua
definizione
dall’art. 1,
comma 1,
lett. e
bis) del
decreto
Legge
23/6/1995 n.
244,
convertito
con
modificazioni
dalla Legge
8/8/1995 n.
431.
Il patto
territoriale
così come da
ultimo
enucleato è
uno
strumento di
intervento
negoziato
che consiste
nell’
"accordo,
promosso da
enti locali,
parti
sociali, o
altri
soggetti
pubblici o
privati con
i contenuti
di cui alla
[precedente]
lett. c) (c.f.r.
i contenuti
dell’accordo
quadro di
programma),
relativo
all’attuazione
di un
programma di
interventi
caratterizzato
da specifici
obiettivi di
promozione
dello
sviluppo
locale".
Dalla
definizione
legislativa
dell’istituto
si possono
trarre
subito
alcune
conclusioni
relative al
suo
contenuto.
In primo
luogo, il
patto
territoriale
è strumento
complesso
che poggia
su un
accordo, e
quindi
sull’esito
di una
procedura
negoziata,
ad
estensione
endoregionale,
fra una
pluralità di
soggetti, a
connotazione
indifferenziata.
Nella
formazione
del patto
territoriale,
come si è
avuto modo
di
evidenziare,
possono
infatti
intervenire
enti locali,
parti
sociali, o
altri
soggetti
pubblici o
privati, e
quindi sia
soggetti
singoli, sia
soggetti
esponenziali
di altri
soggetti.
Dell’accordo,
e delle sue
modalità si
occupa
esaustivamente
il punto
2.8. della
deliberazione
C.I.P.E. del
21/3/1997,
che rinvia
sul punto a
quanto
previsto
dall’art. 2,
comma 203,
lett. c)
della legge
23/12/1996
n. 662,
ossia per la
fattispecie
dell’accordo
di programma
quadro.
In
particolare,
secondo
quanto
prevede sul
punto la
deliberazione
C.I.P.E. del
21/3/1997,
l’accordo
deve
prevedere
quali sono
gli
adempimenti
che
incombono su
ciascun
soggetto
interessato,
compresi
quelli
afferenti
alla
realizzazione
degli
interventi
infrastrutturali
ed allo
sviluppo
degli
investimenti
a supporto
delle opere.
L’immediata
vincolatività
dell’accordo
riveste
particolare
importanza
posto che
l’approvazione
del patto
territoriale
avviene nel
presupposto
che esso sia
immediatamente
finanziabile,
cadenzato
nei suoi
adempimenti
e comunque
oggetto di
programmazione
delle
relative
fasi nelle
quali si
articola.
L’accordo,
poi, deve
prevedere
quali sono
gli atti da
adottare,
anche in
deroga alla
normativa
vigente, per
consentire
la massima
semplificazione
ed
accelerazione
delle
procedure e
dei
procedimenti,
onde
garantire
all’attuazione
del patto
territoriale
la massima
speditezza.
L’efficacia
derogatoria,
peraltro,
non è
generalizzata,
ma limitata
alle sole
aree di
crisi
individuate
della
Presidenza
del
consiglio
dei
Ministri,
che sono poi
quelle
oggetto dei
cosiddetti
"contratti
di area" (c.f.r.
art. 2,
comma 203,
lett. f)
della Legge
23/12/1996
n. 662),
rilevanti
in subiecta
materia
per effetto
della rete
di rinvii
fissi
esperita
dalla lett.
d) della
disposizione
che
disciplina
l’istituto
dei patti
territoriali.
Sempre per
le aree di
crisi, e per
le medesime
ragioni
appena
enucleate, è
poi previsto
che
l’accordo a
base del
patto
territoriale
indichi i
casi di
deroga agli
strumenti
urbanistici
vigenti
nelle aree
interessate
dalla sua
attuazione.
L’accordo
deve inoltre
contenere
esatta
menzione dei
termini
entro cui
devono
essere
espletati
gli
adempimenti
precedentemente
indicati,
nonché le
generalità
dei soggetti
legittimati
ad esprimere
con
carattere di
definitività
la propria
volontà in
relazione a
tutti gli
adempimenti
ed a tutte
le
determinazioni
da adottare
per
garantirne
l’attuazione.
In secondo
luogo, il
patto
territoriale
è uno
strumento a
contenuto
variabile,
il quale
deve essere
concretizzato
nei suoi
elementi con
riferimento
ad ogni
singolo
momento
procedimentale
nel quale si
articola. E
la
variabilità
del suo
contenuto è
una diretta
funzione sia
dell’assetto
territoriale
presupposto
all’attivazione
del patto
territoriale,
sia del
numero dei
soggetti che
in esso sono
coinvolti,
sia, infine,
al prodotto
della
modificazione
dell’assetto
territoriale
auspicata, e
quindi
dell’impatto
sul
territorio
delle opere
e degli
interventi
conformativi
proposti ed
attuati.
In terzo
luogo, il
contenuto
del patto
territoriale
deve essere
immediatamente
comprensibile
alla luce
degli
elementi
indicati dal
legislatore
per
l’accordo di
programma
quadro. Esso
deve poi
soddisfare
le finalità
indicate nel
punto 3.1.
della
deliberazione
C.I.P.E.
21/3/1997,
ossia essere
"caratterizzato
da obiettivi
di
promozione
dello
sviluppo
locale in
ambito
subregionale
compatibili
con uno
sviluppo
ecosostenibile".
La
dimostrazione
del nesso di
strumentalità
fra il patto
territoriale
e
l’attuazione
del
complesso
"di
interventi
caratterizzato
da specifici
obiettivi di
promozione
dello
sviluppo
locale"
costituisce
l’elemento
alla stregua
del quale
valutare in
concreto
l’ammissibilità
del patto
territoriale.
Solo in
questo modo,
infatti, si
giustificano
gli effetti
di
semplificazione
che
l’approvazione
del patto
territoriale
ha,
soprattutto
quando
riguardi
aree di
crisi.
La
semplificazione
amministrativa
propria del
patto
territoriale,
com’è
facilmente
intuibile,
non può in
alcun caso
compromettere
né
l’ambiente,
né gli
obblighi
comunitari
che gravano
sullo Stato.
Per queste
ragioni, è
sempre fatta
salva la
necessità
che il
contenuto
del patto
territoriale
sia
sottoposto a
valutazione
di impatto
ambientate (V.I.A.):
non deve
essere
infatti
dimenticato
che la
fattibilità
del patto
territoriale
è
subordinata,
ai sensi del
punto 2.1
della
deliberazione
C.I.P.E.
21/3/1997,
alla
compatibilità
della
promozione e
dello
sviluppo
locale
rispetto ad
un assetto
ecosostenibile.
La
semplificazione,
poi, non può
andare a
detrimento
del rispetto
delle norme
in materia
di evidenza
pubblica per
l’esecuzione
dello opere
pubbliche,
il che
significa
che nelle
procedure di
formazione
delle
società
miste a
prevalente
capitale
pubblico che
lo
interessano
e
nell’esecuzione
delle opere
pubbliche
che ne
costituiscono
l’attuazione
deve essere
sempre
assicurata
l’osservanza
delle norme
di cui,
rispettivamente,
al D.Lgs.
17/3/1995 n.
157 (o 158 a
seconda dei
casi),
nonché al
D.Lgs.
19/12/1991
n. 406, alla
Legge
11/2/1994 n.
109 e s.m.i,
ed al d.p.r.
23/12/1999
n. 554.
A proposito
del
contenuto
del patto
territoriale
e della sua
struttura,
deve essere,
sia pure
succintamente,
analizzata
la relazione
fra di esso
e la figura
dell’accordo
di programma
così come
normato
dall’art.
17, comma 10
della Legge
25/5/1997 n.
127, che ha
introdotto
nell’allora
vigente art.
27 della
Legge
8/6/1990 n.
142 l’art. 5
bis,
ora
riprodotto
nell’art.
34, comma 6
del D.Lgs.
18/8/2000 n.
267.
La norma è
di diretta
rilevanza
per il caso
di specie,
in quanto
con il patto
territoriale
l’ente
locale può
attuare la
realizzazione
di opere
pubbliche
previste nei
propri
programmi,
potendo
contare
sull’immediata
disponibilità
dei fondi
per
realizzarle,
fattispecie
che ben
potrebbe
essere
attualizzata
proprio
mediante il
ricorso
all’accordo
di programma
di cui all’
art. 34 del
D.Lgs.
18/8/2000 n.
267.
Il problema
della mutua
interferenza
fra le due
fattispecie,
a ben
vedere,
sussiste
solo quando
alla
realizzazione
dell’opera
siano
estranei
soggetti non
pubblici,
rendendo
evidente che
quando non
sussiste una
tale
premessa,
l’unica
procedura
utilmente
praticabile
e quella del
ricorso al
patto
territoriale.
La
sovrapponibilità
degli
strumenti
de quibus,
per
contro, è
sempre
possibile
quando i
soggetti
coinvolti
siano enti
pubblici
territoriali
o comunque
enti
pubblici
tout court.
Dall’analisi
della
normativa e
dalla
ricostruzione
dogmatica
delle due
fattispecie
si può
concludere
che la
formalizzazione
compiuta di
un patto
territoriale
non
necessita
della previa
conclusione
di un
accordo di
programma,
in quanto se
cosi fosse,
il disposto
dell’art.
34, comma 6
del D.Lgs.
18/8/2000 n.
2000 sarebbe
del tutto
ultroneo.
Piuttosto si
può dire che
il patto
territoriale,
per la sua
natura,
sostituisce
ed assorbe
l’accordo di
programma.
Ciò consente
di
concludere
che il patto
territoriale
può essere
lo strumento
mediante il
quale
approvare i
progetti di
opera
pubblica
quando essi
coinvolgano
più enti
pubblici che
abbiano
partecipato
alla sua
negoziazione.
Differente è
il caso in
cui per la
realizzazione
dell’opera
pubblica o
degli
interventi
pubblici non
è necessaria
l’azione
integrata di
più
soggetti, in
quanto essi
afferiscono
alla
competenza
di un unico
ente
pubblico. In
questo caso,
per gli
eventuali
provvedimenti
autorizzativi,
concessori e
simili può
essere
utilmente
proposta una
conferenza
dei servizi
ai sensi
dell’artt.
14, 14
bis, 14
ter e
14 quater
della Legge
7/8/1990 n.
241, nel
testo
modificato
ed
implementato,
rispettivamente,
dagli artt.
9, 10, 1 e
12 della
Legge
24/11/2000
n. 340.
Ovviamente
differente è
la forza dei
due
strumenti,
soprattutto
per quanto
attiene alla
capacità di
determinare
variazione
agli
strumenti
urbanistici
vigenti,
situazione
che è
propria
dell’accordo
di
programma,
ma estranea
al patto
territoriale
quando non
afferente ad
aree in
crisi, come
si ricava
dalla
lettura del
combinato
disposto
delle
lettere d),
c) ed f)
dell’art. 2,
comma 203
della legge
23/12/1996
n. 662.
La
procedura di
formazione
del patto
territoriale
Quanto alla
procedura di
formazione,
deve essere
tenuto
presente che
il patto
territoriale
ha origine
esclusivamente
locale,
essendo
stato
eliminato il
riferimento
all’attuazione
di previe
intese od
accordi di
programma,
che le
finalità del
patto
territoriale
sono sempre
locali e che
il patto
territoriale
può essere
promosso ed
attivato
anche su
istanza di
privati.
La
disciplina
della
formazione
del patto
territoriale
è oggetto di
normazione
secondaria
da parte del
C.I.P.E, cui
l’art. 2,
commi 205,
206, 207 e
208 della
Legge
23/12/1996
n. 662 ha
attribuito
specifica
competenza
in materia,
e
precisamente
nelle
deliberazioni
10/5/1995,
12/7/1996 e
21/3/1997.
La procedura
di
formazione
del patto
territoriale
prende corpo
con
l’iniziativa
del soggetto
promotore,
il quale,
secondo
quanto
indicato nel
punto 2.3.
della
deliberazione
C.I.P.E. del
21/3/1997
può essere
l’ente
locale, un
insieme di
altri
soggetti
pubblici
operanti a
livello
locale, una
rappresentanza
di locale
delle
categorie
degli
imprenditori
locali o dei
lavoratori
interessati,
ovvero
qualunque
altro
soggetto
privato.
Il soggetto
promotore,
qualunque ne
sia la
connotazione,
diviene
soggetto
istituzionalmente
qualificato,
al punto che
dell’iniziativa
di patto
territoriale
è data
comunicazione
alla
Regione.
Del patto
territoriale
deve essere
individuato
un soggetto
responsabile
(punto 2.5
direttiva
C.I.P.E. del
21/3/1997),
il quale
deve essere
necessariamente
un soggetto
pubblico,
ovvero un
organismo di
diritto
pubblico
individuato
o in una
società
mista a
prevalente
capitale
pubblico da
costituire
nei modi e
nei termini
indicati
dall’art.
113, comma
1, lett. e)
del D.Lgs.
18/8/2000 n.
267), ovvero
ancora in
una tale
società già
operante cui
partecipare.
Il soggetto
responsabile
dell’attuazione
del patto
territoriale
deve
possedere le
caratteristiche
indicate dal
punto 3
della
deliberazione
C.I.P.E. del
10/5/1995,
e, nello
specifico,
deve
assolvere a
tutte le
incombenze
previste dal
punto 2.5.
della
deliberazione
del C.I.P.E.
del
21/3/1997,
le quali,
comprese fra
il
"rappresentare
in modo
unitario gli
interessi
dei soggetti
sottoscrittori"
ed il curare
apposite
relazioni a
cadenza
semestrale,
si snodano
attraverso
la
convocazione
delle
eventuali
conferenze
dei servizi,
il
monitoraggio,
il rispetto
delle
pattuizioni
e quant’altro
sia "utile
alla
realizzazione
del Patto".
Alla fase
dell’iniziativa
segue quella
della
concertazione
con le parti
sociali,
formalizzata
con un
protocollo
d’intesa la
cui funzione
è quella di
verificare
la coerenza
e la
compatibilità
della
proposta di
patto
territoriale
con le
finalità di
sviluppo
locale
perseguite
dai soggetti
promotori
(punto
2.10.1 della
direttiva
C.I.P.E.),
ed alla
quale può
essere
decisivo
l’intervento
del C.N.E.L..
Il patto
territoriale
è
ammissibile
in quanto
contiene la
disponibilità
di progetti
di
investimento
per
iniziative
imprenditoriali
nella misura
indicata nel
punto
2.10.1.
lett. b)
delle
direttiva
C.I.P.E. del
21/3/1997.
Istruiti gli
atti e
verificatane
la coerenza
interna, il
Ministero
del Bilancio
e della
Programmazione
economica,
una volta
acquisito il
parere della
Regione
interessata
in quanto
ente a
competenza
necessaria
in materia
di
programmazione
territoriale,
qualora non
sia
ricompressa
fra i
sottoscrittori
del patto
territoriale,
e verificata
la
consistenza
delle
risorse
economiche
destinate
dal C.I.P.E.,
approva il
patto
territoriale
con apposito
decreto da
emanare
entro 45
giorni.
Il patto
territoriale
è poi
sottoscritto
e stipulato
entro 60
giorni dalla
data di
emanazione
del decreto
ministeriale
(punto
2.10.2 della
direttiva
C.I.P.E. del
21/3/1997).
La
sottoscrizione
del patto
territoriale,
in quanto
atto avente
natura
negoziale, e
quindi
lato sensu
contrattuale,
esplica
effetti
immediatamente
vincolanti
per i
soggetti
firmatari
all’adozione
degli atti
di
rispettiva
competenza
relativi
agli
interventi
assunti. Il
rispetto
degli
obblighi
assunti non
è, peraltro,
oggetto di
specifica
normazione
di natura
imperativa.
Esso,
piuttosto,
viene
garantito di
fatto
attraverso
la
previsione
di sistemi
sanzionatori
e di
clausole
penali
dedotte
nell’accordo,
fermo
restando che
per i
soggetti
pubblici
sono sempre
ipotizzabili
specifiche
responsabilità
in via
amministrativa
che
trascendono
i meri
aspetti
civilistici
del danno
rilevante.
Quanto
all’attuazione,
occorre
distinguere
fra patto
territoriale
finanziati
con fondi
interni e
patto
territoriale
finanziati
con i fondi
comunitari
come è
accaduto per
i patti
territoriale
finanziati
nell’obiettivo
comunitario
denominato
"obiettivo
1" con fondi
europei per
lo sviluppo
regionale
(fondo
F.E.R.S.).
Per i primi
valgono le
regole
previste
dalla Legge
23/12/1997
n. 662 e
relative
deliberazioni
C.I.P.E.;
per i
secondi tali
regole non
sembrano
immediatamente
operative,
anche se
tale
conclusione
è fortemente
opinata.
Specifici
patti
territoriale
sono poi
ammissibili
per
consentire
l’attuazione
di obiettivi
comunitari
di settore,
come è
accaduto di
recente per
l’attuazione
dell’
"obiettivo
1", reso
possibile
col
l’apporto
del Fondo
europeo per
lo sviluppo
regionale,
culminato
proprio con
l’approvazione
del
"Programma
operativo
multiregionale
– sviluppo
territoriale
– Patti
territoriali
per
l’occupazione".
I singoli
patti
territoriali
possono
prevedere
finanziamenti
concorrenti,
ossia
provenienti
da soggetti
sia privati,
sia
pubblici.
Una tale
eventualità
è
espressamente
prevista dal
punto 2.9.
della
deliberazione
C.I.P.E. del
21/3/1997,
la quale
prevede
espressamente
che "al
finanziamento
del medesimo
patto, nei
limiti per
ciascun
intervento,
previsti
dalla
normativa
del settore,
possono
inoltre
concorrere,
in aggiunta
a risorse di
privati,
anche
ulteriori
risorse
comunitarie,
statali,
regionali e
locali, per
le quali sia
accertata la
disponibilità
da parte
delle
amministrazioni
competenti"
(*).
Gaetano
Catalano
(*)
(Si
Ringrazia Il
Dr. Riccardo
Nobile per
l'aiuto e la
grande
disponibilità
data per la
redazione
dell'Articolo) |