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"L’importanza e le difficoltà di rappresentare la propria gente"
Ricordando il cammino.................. Non dimenticherò mai tutte quelle emozioni che ho provato nei giorni (e notte......) tra il 06 e 07 giugno 1993, quando dopo che nella nostra sezione affluirono i dati definitivi relativi allo spoglio delle schede elettorali che sancirono la mia elezione a Sindaco del Comune di Santa Elisabetta. Voglio partire proprio da queste emozioni indescrivibili fatte di tantissima gioia, ma anche di consapevole tremore per l’assolvimento del ruolo che ero stato chiamato a ricoprire come rappresentante della mia gente presso la più importante carica locale. Ricordo tutto di quella notte di giugno, dagli odori dolci e forti di un'estate che cominciava a venire fuori in modo dirompente, agli sguardi dei miei collaboratori che, durante l’arrivo delle notizie dal seggio, evitavano di incrociare il mio per non trasmettermi quella paura interiore, che tutti avevano, di essere battuti dall’esponente dei democratici cristiani considerato fino a quella notte il partito con il suo padre-padrone di questa terra. Anche se apparentemente scrivevo o colloquiavo con i miei cortesi ospiti, che mi fecero compagnia per tutta la notte, cercavo di comunicare con i componenti della mia squadra in modo telepatico. Volevo dire loro che ero fiero del lavoro che tutti avevamo fatto. Ero soddisfatto del calore ricevuto dalla folla, del pianto liberatorio di alcuni di loro e quasi non mi interessava il risultato finale, perché avevo toccato con mano l’amore della mia gente, per cui avrei comunque fatto qualcosa, non sapevo come, ma ero sicuro che sarei stato sempre dalla loro parte. Quando, poco prima dell’alba, il più emozionato dei miei collaboratori, che fingeva di essere il più freddo, mi comunicò il raggiungimento della certezza matematica della mia elezione, non riuscii tuttavia a partecipare a quella gioia irrefrenabile che aveva preso tutti quelli che mi circondavano. Familiari, amici, colleghi e concittadini erano lì a fare festa, mi abbracciavano, mi toccavano e volevano stare vicini alla mia persona che vedevano come una sorta di "totem della liberazione", mentre io partecipavo soltanto con il corpo esteriore a questo vero e proprio turbinio di gaiezza e di felicità spontanea. Sulla mia mente e nel mio animo, in quel decisivo momento, l’ora fatale per la mia vita addensava storiche ansie. Pensavo in quegli interminabili minuti ai rappresentanti della prima vera democrazia comparsa sulla terra. Nella Grecia antica il rappresentante del popolo per poter sedere nell’assemblea della polis doveva rispondere ai requisiti di saggezza e coraggio, capace di rappresentare i bisogni di quanti andava a rappresentare. Questa figura di uomo retto e giusto, depositario dell’ammirazione dei suoi concittadini, mi ha sempre accompagnato fin da quando da bambino la maestra delle elementari mi aveva fatto conoscere per la prima volta i sia pur frammentari connotati d’essa. Questo impavido rappresentante del popolo era stato l’eroe della mia fantasia di bambino ed ora si concretizzava di fronte a me, come riflesso in uno specchio, prendendo le sembianze della mia persona, quasi come frutto di una fantastica magia che per compiersi aveva impiegato più di trent’anni. La mitica figura dell’infanzia, l’uomo che rappresentava i suoi concittadini e che aveva avuto tutta la mia ammirazione, si era materializzato. La gente aveva voluto che fossi proprio io. Quello di essere il rappresentante di un'intera Comunità, era proprio ciò che impersonava il mio mito. Dunque avevo paura di me stesso. Pensavo di non farcela e nonostante tutti i sorrisi e tutte le pacche sulle spalle, la paura che divenne nelle ore e nei giorni successivi finanche terrore, mi accompagnò ancora per molti giorni. L’importanza del compito che mi avevano assegnato gli elettori l’avevo ormai compresa fino in fondo, ma quando il 09 giugno, giunsi in Prefettura, per l’investitura mi resi ancor più effettivamente conto della solennità del ruolo che avevo l’onore e l’onere di ricoprire. Attraverso la mia persona passavano i bisogni, le rivendicazioni, i progetti e finanche i sogni della mia gente che mi aveva eletto. Fu proprio questa constatazione che mi spinse a cercare di capire fino in fondo quello che mi apprestavo a fare. I primi giorni del mio mandato sono stati molto travagliati, ma non perché mi stessi calando in una realtà conosciuta soltanto in modo troppo marginale, quanto piuttosto perchè mi dovevo sottoporre ad un giudizio ancor più severo di quello di cui ero stato fatto oggetto da parte del mio elettorato. Avevo le idee chiare su quello che dovevo fare. Fino a quel momento vedevo nitidamente tutti i progetti che avevo disegnato per la mia gente, ma avevo ora l’esigenza di crederci fino in fondo, di sposare con formula indissolubile questa missione. Non ho mai visto la figura del Sindaco, come un accentratore di potere o come una sorta di Azzeccagarbugli che cerca di guadagnarsi consensi cercando di gabbare la povera gente. Eppure negli anni mi è capitato di conoscere e frequentare personaggi che avevano trasformato la fiducia della mia gente in una specie di investitura di onnipotenza, ponendosi non come rappresentanti ma quali dispensatori di "benefici" e "piaceri" per i loro cortigiani. Non volevo seguire questo modello, non potevo diventare come questi ultimi. Il sogno della mia esistenza era quello di rappresentare gli altri, non di amministrare grazie e poteri. La mia cultura della democrazia e della legalità fù tale che mi portò a ripudiare una simile impostazione, che pure talvolta potrebbe divenire naturale per chi, come me, attraversato il portone del palazzo del potere, sedendo in una poltrona dove ogni giorno si costruisce il presente e il futuro del Paese. Dunque avevo l’esigenza di delineare la mia figura e in questo mi ha soccorso quell’idea viva della politica che incontro sempre leggendo gli scritti dei tanti "grandi" della politica, ma più di tutti i forti principi cristiani a cui ero e sono fortemente radicato, del rispetto per il prossimo, forte di un verso biblico, che ogni giorno, varcata la soglia municipale, riecheggiava forte nella mia mente: " Non negare un beneficio a chi ne ha bisogno, se è in tuo potere il farlo... Proverbi 3 : 27". La politica come servizio e come cultura delle leggi e delle libertà mi sembrava il modello più adatto alla mia coscienza, così, non ho alcuna vergogna di ammetterlo, ho cominciato a studiare da "Sindaco". Passeggiando una mattina per le vie del nostro piccolo paese, spronato dai discorsi, dalle aspettative dei miei Cittadini (non più "miei" elettori....., perchè il giorno dopo, il Sindaco è di tutti.....), che vedevano in me il "risolutore" dei mali creati (senza offesa per i miei precedessori....), da tanti Amministratori "distratti....", ho visto i loro sguardi che sembravano tracciare a chiare lettere il passato del nostro paese, a volte illustre, glorioso e talvolta doloroso. Furono quei volti con i loro bisogni, le loro ansie, la loro speranza che mi spinsero a scacciare via le ombre della paura, impegnandomi fino in fondo per coloro che avevano puntato su di me per poggiare il loro mattone sul colonnato della ricostruzione del nostro paese. Ho cercato di capire in fretta i meccanismi e ho cominciato a lavorare sodo per poter portare sull’enorme tavolo della discussione quelle che sono le aspettative, ma anche la saggezza della gente. Il mio ruolo era definito. Potevo cominciare con l’aiuto di Dio il mio mandato, avevo compreso le mie funzioni ed ero riuscito a superare l’esame più duro, quello al cospetto della mia coscienza. Gaetano Catalano |
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